Mentori

 

Che cosa è, in realtà, ciò che chiamiamo culturadi un popolo? Una definizione semplificata è quella secondo cui la cultura di un popolo è l’insieme delle cose che gli adulti insegnano ai propri figli affinché essi si comportino in modo “appropriato”.

La lingua è una parte importante di ciò. Essa rappresenta lo strumento attraverso il quale descriviamo la nostra immagine del mondo. Il collegamento tra il nostro modo di parlare e il nostro modo di vedere il mondo è così stretto, che spesso un’analisi dei nostri modi di direrivela aspetti del nostro pensiero dei quali normalmente evitiamo di parlare.

Questo ci permette di capire meglio quale sia il problema più comune fra gli immigrati che ancora non padroneggiano la lingua del luogo in cui vivono. Sostanzialmente la difficoltà è rappresentata dal fatto che nessuno spieghi loro quali siano i modi socialmente accettatidi fare le cose. Allo stesso modo, nessuno spiega loro quale sia il corretto modo di esprimersi.

L’antropologa danese Anne Knudsenscrive che “non si riceve mai un libretto di istruzioni, quando ci si approccia a una diversa cultura”.

Knudsenusa l’esempio della colazione danese, che per un profano – uno straniero – consiste sostanzialmente in un lunghissimo pranzo in cui si consuma una serie di piatti caldi e freddi.

Cominci con le sardine e finisci con il formaggio. In certi casi devi accompagnare il piatto con il pane bianco. In altri devi invece usare il pane integrale. Alcuni cibi si accompagnano con il burro, altri con lo strutto. Il piatto delle sardine va messo via, non appena hai finito di consumarle. Il “piccolino” non è altro che il bicchierino di liquore che si beve accanto alla birra…”

Uno straniero che non conosca questa tradizione riceverà una spiegazione dettagliata di come ci si comporti solo alla fine del pasto. Nel frattempo i danesi rideranno di lui e del suo modo inopportuno di comportarsi in quella occasione. Ridere del nuovo arrivato è, evidentemente, un comportamento molto più naturale e spontaneo del fornire adeguate spiegazioni.

Un fenomeno simile si verifica spesso sul posto di lavoro.

Anzicché spiegare adeguatamente ai lavoratori immigrati il motivo per cui il loro comportamento sia considerato inopportuno, si tace. A volte ciò è fatto in buona fede, nel timore che la parsona in questione si offenda, ma il risultato di questo comportamento è dannoso, dal momento che si nega l’aiuto necessario a comprendere il codice di comunicazione locale.

Nel contesto del programma di integrazione Mentor, colleghi esperti di origine locale (imentori), assumono la responsabilità di assistere uno o più colleghi immigrati con lo scopo di aiutarli a comprendere a fondo le aspettative del datore di lavoro nei loro confronti.

 

I mentori imparano a spiegare chiaramente gli obblighi di ciascuno sul posto di lavoro e offrono critiche costruttive sui risultati ottenuti. Essi imparano inoltre quale sia il modo migliore di sostenere gli sforzi di crescita dei colleghi immigrati e rispondono alle domande per chiarire ogni dubbio. Nel caso in cui essi stessi non siano in grado di rispondere a una domanda, si fanno carico di inoltrarla a coloro che, all’interno dell’organizzazione, conoscano la risposta. In questo modo ogni incertezza viene rimossa.

 

Quando è necessario, sono i mentori a spronare i nuovi arrivati a lavorare ancora più intensamente per superare le difficoltà linguistiche e di comunicazione.

La parola mentorederiva dal greco  Μέντωρe significa saggioconsigliere.

Nell’Odissea,Mentoreè il nome del saggio che riceve l’incarico di educare Telemaco, il figlio di Ulisse. Mentore aveva dunque il ruolo di consigliare, insegnare e apoggiare Telemaco nella crescita.

Oggi diremmo che Mentore era un supervisore o un coach.

Nel ruolo del mentore è essenziale riuscire a distinguere l’oggetto della discussionedal processo del discutere.

Un mentore deve promuovere il dialogo e prevenire la diatriba usando la comunicazione facilitante. Per questo, chi assume questo ruolo, deve comprendere e fare proprio l’atteggiamento descritto dallo psicologo americano Carl Rogersnel suo libro Approccio Centrato sulla Persona (Person Centered Approach – PCA), basato su empatia, capacità di accettare l’altro e congruenza.

In questo modo i mentori saranno in grado di creare un notevole valore aggiunto, a beneficio dell’organizzazione. Essi promuoveranno la partecipazionee sosteranno i colleghi immigrati nello sforzo di imparare a collaborare in maniera armonica.

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